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Il coraggio di essere felice

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Ho incontrato il Signore una domenica mattina di maggio, lo scorso anno. Non ricordo di preciso il giorno, ma penso fosse la domenica di Pentecoste, o forse mi piace ricordare sia stato così, a simboleggiare la discesa dello Spirito su di me. Rientravo da un giro al parco, in tenuta sportiva e occhiali da sole. Passo davanti alla bellissima chiesa a facciata doppia, osservata chissà quante volte in due anni e mezzo di vita nel quartiere.

C’è tanta gente che entra.

Sono quasi le 11:30. Le campane suonano. Qualcosa mi dice di entrare. Anzi, ora direi qualcuno. Mi metto in un angolo, vicino ad una colonna. Mi sento a disagio, con i leggins, le scarpe da running e gli occhiali scuri. Adesso so che al Signore non importa come sei vestito al suo cospetto, guarda solo al tuo cuore. Stavo vivendo un momento molto bello della mia vita, nel quale ero finalmente soddisfatta delle relazioni che andavano costruendosi, del mio aprirmi al mondo, agli altri; un momento nel quale mi ritrovavo a contemplare la bellezza della natura, a sorridere al sorriso di un bambino o di un anziano incrociato per strada. Mi sentivo “piena di Grazia”. Ma mancava qualcosa, anche se ancora non ne ero consapevole.

Mancava Lui.

Ed è arrivato. Era lì, ad aspettarmi, da chissà quanto tempo. Probabilmente, ha ritenuto fosse giunto il momento di parlarmi. O meglio, ha ritenuto opportuno che io ascoltassi, finalmente. Il sacerdote aveva una voce calda, le sue parole sembravano musica. Ci sono tornata la domenica successiva, e quella dopo ancora, e ancora. All’inizio mi sentivo quasi come una studentessa affascinata da una lezione interessante. Mi incuriosiva conoscere il contenuto dell’omelia, la capacità di quel prete di rendere il Vangelo così concreto, di farlo entrare nella vita di tutti i giorni. Era quello il motivo che mi spingeva ogni domenica ad andare alla funzione. Non facevo il segno della croce, non rispondevo quando dovuto, non recitavo il Credo.

Agosto di mezzo.

Qualche messa durante il campo estivo con i bambini. In pochi mesi avevo recuperato le messe non ascoltate per anni! Ma non era lo stesso. Non era il mio sacerdote a parlare, non riuscivo ad andare oltre. Non mi rimaneva tanto. Al rientro delle vacanze, ho ripreso a frequentare la messa della domenica mattina. Pian piano, ho iniziato a sentire qualcosa in me, che non riuscivo a spiegare. Una gioia infinita, mescolata allo stupore della novità. Mi sono sempre definita non credente. Cosa mi stava succedendo?

A settembre, spinta da una locandina trovatami per caso tra le mani, con un’amica partecipo ad un week end di lavoro e preghiera. È meraviglioso star lì in silenzio a pregare. È la prima volta. Percepisco anche lì la concretezza del Vangelo. Inizio a rispondere durante la funzione, mi ritrovo a fare il segno della croce, inizio a sentire il Signore, ad abbandonarmi, a pormi nelle Sue mani. Ho però uno scoglio da superare: non riesco a credere nell’Incarnazione. Va contro le mie logiche. Nella recita del Credo, non riesco a pronunciare il pezzo che la riguarda. Ma insisto, e tanto.

Mi sta chiamando, non posso e non voglio girarmi dall’altra parte. Nella mia vita entra un uomo, poco più grande di me. È molto vicino al Signore. Passiamo le ore a parlare. Abbiamo un’intesa favolosa. È una sensazione mai provata prima. Attraverso i suoi bellissimi occhi verdi inizio a percepire la bellezza presente in me, che è dovuta alla presenza di Lui. Inizio a vedere l’amore che metto in tutto quello che faccio, in nome di un amore più grande. “Ho la certezza che tu il Signore ce l’hai dentro”, mi dice, “non lo chiami per nome, ma da come agisci, tutti i giorni, da come osservi il mondo che ti circonda, dall’amore che mostri in tutto quello che fai, si vede che sei piena di Lui”.

Sono felice e allo stesso tempo inquieta. Signore, cosa mi stai chiedendo? Cosa vuoi che io faccia? Arriva l’Avvento, tempo di attesa. Lo vivo intensamente ed attendo. Attendo di credere, di abbandonarmi del tutto al mistero. Sento che sono lì, lì per, ma non ci riesco… Non ho dubbi sul fatto che una giovane Vergine sia diventata mamma, anzi, la sento così vicina nell’attesa. È come la stessimo vivendo in due, io e Lei. Ma come poteva essere il figlio di Dio? Continuo ad insistere. Mi affido. Capisco che Lui si fida di me, non posso deluderlo.

Iniziano i tormenti interiori.

Proprio mentre vivo delle sensazioni così belle, mi sento amata come non mai per la prima volta nella mi vita, ecco che mi rendo conto che mi sto legando troppo a quegli occhi verdi, anche se non devo, e inizio a provare dolore, per il contrasto tra il sentimento che provo e quello cui mi sto pian piano avvicinando e che è più grande di tutto. Mi affido, e prego. Non ho mai pregato seriamente in vita mia. Mi ritrovo a farlo. Sento il Signore vicino, ad asciugarmi le lacrime. Ad abbracciarmi, quando mi sento triste. Inizio ad avvertire il forte desiderio di accostarmi al sacramento della Riconciliazione, ma mi sento debole, non ce la faccio. Lo dico al sacerdote che avevo ascoltato per la prima volta quella domenica di Pentecoste e le tante successive, con il quale nel frattempo ho iniziato ad avere dei colloqui di direzione spirituale. Quando lo vorrai, sono a tua disposizione.

Giorno di Pasqua di Resurrezione.

Come faccio ad avere ancora dei dubbi? Non posso più averne. Pentecoste. Questa volta lo è davvero, domenica 15 maggio 2016. Sento proprio lo Spirito discendere su di me. Chiamo il mio padre spirituale. Non posso che abbandonarmi alla Sua volontà, dopo 15 anni. Al mattino sono raggiante. È una sensazione bellissima. Dopo la confessione, un iniziale senso di vuoto. Perchè mai? L’ho desiderato tanto. Continuo a chiederGli di fidarmi di Lui. La conversione è conclusa o è iniziata? Non lo so. Di certo, continua giorno dopo giorno. Ogni giorno devi dire il tuo sì incondizionato. Devi affidarti alla sua volontà. Devi fidarti di Lui. Devi avere il coraggio di essere felice. Devi avere cura di splendere.

Le tentazioni contro cui combattere sono tante, spesso mascherate dietro cose belle. Amo ancora quegli occhi verdi che continuano a guardarmi, ma l’amore non deve essere motivo di dolore, devo sublimarlo ed indirizzarlo ad altro. Prego il Signore ogni giorno affinché io possa continuare a sentirlo vicino, anche nella difficoltà, perchè io possa sempre ringraziarlo della bellezza della vita ed essere testimone del Suo amore.

Sempre.


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Fra Massimo me lo diceva sempre — “tu non sei fatto così” — ci sei diventato, ma non sei così. Oltre quella scorza dura di pessimismo e disillusione, quel fango sul nostro cuore che si chiama peccato, ci siamo noi — il mio vero io — pensato per un amore grande, per Amare alla grande.

Non tutti nascono “imparati” … ne tutti nascono con la fede. Per quanto mi riguarda il problema non mi toccava affatto.

Al centro dell’amore di Dio per noi c’è il perdono. C’è una grazia da andarsi a prendere, un regalo che Dio ti vuole fare per entrare nella pienezza della gioia. Per quanto mi riguarda, è da dove è iniziato tutto.

Ovvero l’azione costante e amorevole di un Padre che ci vuole veder crescere nell’amore.