La mia esperienza sul Cammino di Santiago 🥾 #21
Carissimi
bentornati ad un nuovo numero della ✨ newsletter di 5pani2pesci ✨ oggi sarò rapido perché il racconto è lungo. Prendetevi il tempo, ne vale la pena!
Qui si pensa e si opera al contrario 🙀
Buona lettura
Francesco
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La mia esperienza sul Cammino di Santiago 🥾
Il cielo grigio accompagna i miei primi passi verso Santiago. Sono un po’ impacciato e inconsapevole di quello che mi aspetta. Felice di essere qui.
Il vento dell’Atlantico è diverso da quello delle nostre coste. È poderoso, freddo, severo. Ti ricorda che oltre quelle case, oltre quella collina, c’è l’oceano, con onde alte fino a 20 metri, e oltre 6000km da qui alla costa americana. Fa impressione, mi ricorda di essere piccolo.
La Costa Atlantica
I primi due giorni li passo sulla costa Atlantica della Spagna, in Cantabria. Le spiagge sono immense e il mare non è così freddo come dicono. I campeggi sono ancora pieni e il surf è popolare. Quando passano le nuvole, il sole è caldo e la costa si staglia in maniera impressionante contro quel cielo dipinto. Già solo per questo, ne vale la pena essere qui.
Il mio progetto originario è di partire da Oviedo, ma siccome l’aereo atterra a Santander, penso di iniziare a piedi direttamente da lì. Il piano dunque è quello di seguire la costa del Nord e poi tagliare verso Sud-Ovest, verso Oviedo, e così collegarmi al Camino Primitivo. Si dice che quest’ultimo sia il percorso originale seguito dai primi pellegrini. A me affascina, perché meno frequentato e ricco di sentieri, passa tra le montagne.
Ma le cose sono andate diversamente. I primi due giorni al Nord sono irrequieto. Ho sentimenti contrastanti. Mi manca casa da morire, sono convinto (mi convinco) di fare la cosa giusta ad essere qui. Ma al terzo giorno decido di cambiare rotta. Troppa gente per me qui sulla costa, mi sento fuori posto.
Dopo molto esitare, con le prime luci dell’alba decido di prendere il bus che mi porta direttamente ad Oviedo, saltando 4 tappe sulla costa, per riprendere il cammino con spirito rinnovato sulla traccia che avevo pensato originariamente.
El Camino Primitivo
Dopo due ore di bus, inizio a camminare incerto tra gli edifici di questa città. Una pioggia fine scende incessante. Ho freddo, batto i denti. Possibile battere i denti a metà settembre? Cerco di coprirmi ed inizio a camminare. Lungo i marciapiedi ci sono piccole conchiglie dorate ad indicare il cammino. Sono sulla strada giusta!
Qui il clima è completamente diverso. In mezzo alla gente che si affretta ai propri impegni, sembro un alieno. Al nord, il pellegrino sembrava un oggetto folcloristico, qui un elemento estraneo. Dopo poco, esco dalla città e la strada immediatamente incomincia a salire. Sono felice di essere qui.
I km incominciano a farsi pesare sulle gambe. Quando con le luci della sera finalmente arrivo all’Albergue sono felice di potermi fare una doccia, prendere una pausa, fare quattro chiacchiere.
Sento di aver voltato pagina. L’atmosfera è diversa. Prendo fiducia.
Gli Albergues
L’esperienza del cammino è resa possibile nel concreto, grazie al lavoro instancabile di chi si prende cura dei pellegrini. Le strade sono sempre ben segnate, le mappe dettagliate, ed è possibile reperire informazioni e numeri di telefono per tutti i servizi disponibili sul cammino.
I veri eroi di questa macchina sono gli albergatori. Come custodi di navi in mezzo all’oceano, restano fermi in posizione mentre – letteralmente – tutto il mondo gli passa davanti. Sono loro che ti regaleranno quel sorriso ristoratore dopo una giornata estenuante di cammino, sapranno metterti davanti un piatto caldo da mangiare o darti la possibilità di una doccia calda e un letto pulito, che nella precarietà di quelle giornate sono privilegi che non si dimenticano facilmente.
Come quella volta a El Texu dove inaspettatamente ci ritroviamo a vivere una serata completamente all’italiana con tanto di spaghetti al sugo e lenticchie. Oppure a Borres dove ho respirato a pieni polmoni l’orgoglio spagnolo, la sua musica e quella determinazione che solo le donne sanno avere nel prendersi cura dell’altro.
Donne
E proprio le donne mi hanno colpito profondamente in questa esperienza. Ho incontrato donne determinate, forti, decise. Donne che stavano lì per prendersi il loro posto nel mondo. Ognuno a suo modo. Chi nel cercare una risposta ha deciso di partire da casa per raggiungere Santiago – percorrendo oltre 2000km – e alla fine ha incontrato Dio. O chi con severa sobrietà gestisce l’accoglienza di centinaia di ragazzi con amorevolezza materna, seria, senza alcuna forma di civetteria, dritta all’essenza della vita.
Che donne!
Perché dimentichiamo così spesso questo spirito tutto femminile? Noi uomini sappiamo partire alla ricerca ossessiva di obiettivi e sfide. Ma mai e poi mai vedo quel gratuito servizio, ricco di determinazione, tipico delle donne che decidono di prendere la propria vita in mano e farne un capolavoro!
Cosa permette a voi donne di emergere in questo modo? E cosa vi relega altre volte alla passiva debolezza? Come siamo maledettamente responsabili – uomini e donne – della strada che prendiamo, e quanta differenza possiamo portare nel mondo!
Non sei solo
Una esperienza incredibile che si vive qui – unica direi – sono gli incontri che fai sul cammino. Anche se sono partito da solo, la cosa che mi ha arricchito di più è stata la condivisione, il confronto o il semplice ascolto di chi, come me, si trova sul cammino.
Su queste strade si fanno incontri unici. Non è da tutti, alzarsi una mattina per trovarsi magari dall’altra parte del mondo per camminare centinaia di km, dormire in camerate ed affrontare qualsiasi forma di precarietà, alla ricerca di qualcosa di effimero, magari una risposta, che la vita esige per prendere una forma rinnovata.
Così incontro Patti, una donna di 60 anni di Taiwan. È la seconda volta che torna sulle strade di Santiago. Bassina con uno zaino enorme sulle spalle, ispira fiducia e quella calma che solo gli orientali sanno trasmettere. Parliamo del matrimonio, dei figli, delle molte incrinature del quotidiano e del perdono. Lei è qui perché può mi ha detto. La sua risposta che in un primo momento mi sembra superficiale, in realtà è ricca di saggezza: sono qui perché ho ancora la forza e la possibilità di farlo, per poter ringraziare della vita che ho ricevuto in dono. Senza parole!
Durante il secondo giorno sul Primitivo incontro due compagni di viaggio con cui condividerò la maggior parte del cammino. Pippo e Wolf sono due “ragazzi” Veneti – hanno la mia età – due uomini lontani, a detta loro, dalla chiesa, ma veri, autentici. Autentici nel ridere, ma anche nel racconto di quelle situazioni di vita più complesse. In cammino sono generosi, burberi, accoglienti, a tratti rudi, di stampo veneto doc.
Sono venuto su queste strade per riappropriarmi di quella solitudine che per me è dialogo profondo con me stesso e con Dio e mi ritrovo in una allegra compagnia di ragazzi squinternati e pieni di vita :D Provvidenza?
Poi c’è Jan dalla Repubblica Ceca, che nella sua terra ha camminato in un solo giorno per 72km; Ignazi da Barcellona che sta per diventare padre per la prima volta; Dennis, anche lui veneto, pieno di vita e in ricerca continua; Michele vero marchigiano con la semplicità nel cuore; Sergio uomo maturo e vero camminatore; Manuel lo “sciamano” (come cura lui le empollias non le cura nessuno!). E tanti altri che hanno arricchito, rallegrato e reso più veri i km che ho percorso in questa terra di Spagna.
A tutti loro va la mia riconoscenza.
Sulle montagne più alte
Il Cammino Primitivo si distingue rispetto agli altri percorsi anche per il suo carattere spiccatamente montagnoso. Qui i dislivelli sono importanti e alcuni tratti come la Ruta des Hospitales sono percorribili solo in condizioni favorevoli. Ma che panorami! Che solitudini! Boschi ammantati dalla nebbia del mattino, silenziosi monti, abbandonati e dimenticati dal mondo.
Non dimenticherò facilmente quei pascoli solitari. Mi hanno insegnato l’ascolto, la preghiera del cuore, la voce di Dio. Come si fa a rimanere in ascolto nel caos della città? Come si fa a fermare lo sguardo sulla volontà del Signore, quando siamo nel panico del quotidiano? Come possiamo fare spazio alle Sue Parole, quando il nostro cuore è così pieno di preoccupazioni?
Fare silenzio è una necessità.
Abbandonare le preoccupazioni un dovere. Cosa vuoi fare della tua vita? Come pensi di prenderla in mano? Il fatto è serio, ma mai facciamo in modo di prendercene veramente cura.
Lo zaino
Lo zaino è casa per il pellegrino, ma il fardello più pesante sono sempre le preoccupazioni. I dubbi e tutte quelle domande senza risposta che teniamo in fondo al cuore ed emergono sul cammino. E lo zaino che mi porto sulle spalle parla tanto di questo. Tutto quello che porterai su questo cammino, lo dovrai portare sulle tue spalle. 5kg in più fanno la differenza tra finire la tappa o distruggersi. Tra farsi male o entrare nel cammino. Quanta capacità hai di lasciare?
Lasciare andare.
Cosa è realmente necessario nella tua vita? Di cosa hai veramente bisogno?
Come nella vita, tutto passa attraverso la mediazione. Per ogni comodità in più, per ogni oggetto in più nello zaino, – per ogni sicurezza – pagherai un peso sulle tue spalle. Ogni passo del cammino pagherà quel pegno. Ed ho visto ragazzi di vent’anni, pieni di forza, tornarsene a casa delusi, piegati da zaini proibitivi. Tagliare, lasciare andare, semplificare. Allora ogni grammo risparmiato, ogni comodità lasciata a casa, hanno il duplice effetto di insegnarci a vivere con meno e allo stesso tempo alleggerire i nostri passi.
Non è forse così anche nella vita?
Non si cammina meglio senza quei pesi sulle spalle? Non si procede più spediti quando si ha il coraggio di lasciare andare pesi che promettono sicurezze, ma che in realtà ci rendono goffi e pesanti?
Dare tutto
Per me questo cammino è anche l’occasione di dare tutto, toccare il limite, consumarmi fino in fondo su quei km polverosi… per poi ripartire come un uomo nuovo.
La vita di ognuno di noi è un mistero.
E mentre ci sono schiere di persone pronte a giurare che sono stato uno sciocco ed un irresponsabile a partire, altri dicono l’esatto opposto. Come si fa a giudicare la voce interiore di un uomo?
Siamo così annebbiati dalla facilità della vita, che riempiamo i nostri giorni – perfino i più miserabili secondi – con tappabuchi di ogni tipo, spesso veicolati da quel telefonino che stringi tra le mani. Così ripiegati su noi stessi, che siamo incapaci di apprezzare la bellezza di un tramonto, o lo stupore che infonde il sorgere del sole.
In fondo cosa c’è di più banale del vento che passa tra l’erba alta? Eppure non è meraviglioso?
Uscire dalla zona di comfort non è una prova di forza. Una dimostrazione di essere all’altezza o dimostrare qualcosa a qualcuno. È la porta di ingresso per il reset del nostro cuore. È l’occasione di cambiare strada, di alzare gli occhi su quel tramonto, di tornare a stupirsi per le cose più semplici.
Il penultimo giorno decido di camminare da solo, per ritrovare tutto questo. Voglio dare tutto. Ho bisogno di dare tutto. Su quella piazza di Santiago, in quella messa, in quell’arrivo, non deve rimanere più niente, solo la parte più nuda e fragile di me. Non una goccia di energia, di rabbia o rassegnazione, di entusiasmo o aspettative. Solo io, solo la parte più intima e pura di me.
Nient’altro.
Mi pesa lasciare i miei compagni di viaggio. Ma un uomo deve fare quello che deve fare, e alle 5.10 del mattino sono sul cammino. Tre ore di buio solitarie, nella completa oscurità, su strade sconosciute (in Galizia fa giorno un ora dopo rispetto all’Italia, poi quella notte neanche un minimo di luna). Incontro cani rabbiosi che sbarrano il cammino, poi sbaglio strada, sento un grande smarrimento… è la selva oscura di Dante?
Provo una solitudine abissale.
Non è certo la prima volta che cammino al buio, ma non ho mai sentito un tale baratro in fondo al cuore ed intorno a me, come si fa a spiegarla con le parole? Questa oscurità, sembra non finire mai. Le prime luci dell’alba non portano il conforto che speravo: il dolore al piede sinistro aumenta e mi preoccupo seriamente.
Da qualche giorno il mignolino, compresso nella scarpa, ha incominciato a farmi male e a gonfiarsi. Ma oggi, la situazione incomincia a degenerare. Levo la scarpa in diverse soste, per cercare una configurazione migliore. Forse dovrei tagliarla, fare un foro. Mi ricordo di avere qualche goccia di oki nello zaino.
Zoppico, ogni passo è una sofferenza. Le persone incominciano a superarmi, tutti con gran passi sicuri. Come farò ad arrivare in fondo oggi? Nel momento di più grande sconforto, mi raggiunge Ignazi, Michele ed una ragazza Ceca. Complice l’antidolorifico e la possibilità di parlare con qualcuno, aumento il passo. La giornata cambia faccia.
Possibile che proprio io che cercavo la solitudine, vengo rinfrancato dalla presenza di qualche amico? È proprio vero che “senza di me non potete fare nulla” (Gv15,5), ed è anche vero che Gesù si manifesta nel concreto della nostra vita proprio nei volti delle persone con cui condividiamo il cammino. Per questo l’unica vera arte che dobbiamo imparare è quella delle relazioni.
Senza relazioni siamo morti.
Altri volti incontro in quella giornata bella e impervia, a cui viceversa, ho dato io conforto. E quando alle 18 – dopo 53km di strada in 13 ore di cammino – con solo mezzo panino nello stomaco, sono arrivato all’ostello, sapevo che avevo dato tutto, che avevo scavato fino in fondo.
Sapevo che il mio cuore era pronto per arrivare a Santiago.
Signore dimmi chi sono
Una preghiera è stata incessante nel mio cuore:
Signore Gesù Cristo, abbi pietà di me.
È la preghiera del cuore, la preghera incessante, la preghiera che ho imparato nella lettura dei Racconti di un Pellegrino Russo. Scava il cuore e l’anima e crea una unione viscerale con Dio. Recitandola con il ritmo del respiro come i padri ortodossi, mi fa entrare in una dimensione di ascolto.
Il silenzio del cammino, unito alla preghiera incessante, veramente creano una intimità nuova con Dio. Un luogo dove potersi fermare e trovare ristoro. Aprire un dialogo.
Una cosa che ho imparato in questi anni è che quando ci si mette in cammino, quando ci si mette in discussione per davvero, quando si sperimenta un’esperienza forte con Dio, è importante chiedere qualcosa di grande. Sono occasioni così potenti che non possono essere sprecate, e il nostro cuore è pronto a chiedere quella unica cosa veramente fondamentale per la mia vita [^1].
Signore dammi il nome!
Questa è la mia preghiera.
Fammi capire chi sono veramente, dammi il nome che hai pensato per me da sempre. Dammi il nome e cambia il mio cuore. Sono partito per Santiago esausto. Stanco e disorientato. Dammi il nome è la mia preghiera, perché il nome è ciò che ci dice chi siamo. Il nome è il fondamento della nostra vita. Senza un nome, siamo smarriti, disorientati. Senza radici.
Al mattino dell’ultimo giorno di cammino capisco immediatamente che quello che pensavo sarebbe stato un dettaglio dell’ultimo giorno, “una passeggiata in scioltezza”, sarebbero diventati i più lunghi della mia vita.
Non posso camminare.
Il dito del piede sinistro è gonfio. Ogni passo un martirio. La scarpa stringe e non mi permette di poggiare il piede. Sono l’ultimo a lasciare l’Albergue questa mattina. Già stanno pulendo le stanze quando mi metto finalmente in cammino. Non ho il coraggio di iniziare questa giornata.
In un gesto di infinita tenerezza di Dio, accanto alla porta di uscita un bastone di castagno abbandonato. Un solitario e modesto bastone da pellegrino. Il mio aiuto concreto per questa giornata.
Il profumo dell’aria parla già del nuovo giorno che sta incominciando e le pietre che segnano i km al bordo della strada parlano chiaro. Santiago è vicina: 20km.
Cammino con fatica, lentamente, appoggiato al bastone che mi è stato donato. Sono lentissimo. Mi superano tutti, ma non è un problema. Negli ultimi km la strada per Santiago si affolla, tantissime persone percorrono quel tratto. E sebbene il clima superficiale non rispecchi affatto il tumulto del mio cuore, è come se stessi percorrendo quei km da solo con Dio. In una pace che non so spiegare.
Alzando lo sguardo mi ritrovo in mezzo ad un bosco di salici, sento dolore, zoppico e mi avvicino alla meta. Sì, zoppico come Giacobbe al Penuel… quando l’angelo del Signore combatté tutta la notte con lui, azzoppandolo con un colpo all’anca. Questo passo ha sempre detto tanto alla mia vita. In quella occasione Giacobbe riceve il suo nome da Dio!
«Non ti chiamerai più Giacobbe, ma Israele, perché hai combattuto con Dio e con gli uomini e hai vinto!» – Gen 32,29
E nel realizzare improvvisamente tutto questo, silenziose lacrime rigano il mio volto. Questo di oggi è il mio Penuel, è un’esperienza interiore, non so spiegarlo meglio a parole. Ma qui sento anche io di aver combattuto corpo a corpo con Dio.
La mia preghiera è stata ascoltata, a Santiago ho ricevuto il nome. Nulla è cambiato nella mia vita, ma il mio cuore è cambiato. E quando sull’ultima altura a 5km da Santiago, scorgo la città sotto di me, so che adesso un nuovo capitolo della mia vita si apre.
Ora sta a me viverlo.
Ringraziamenti finali
Tutto questo non sarebbe stato possibile senza mia moglie. Sebbene si sia molto arrabbiata per la mia partenza, ha saputo darmi fiducia fino in fondo, senza capire … e questo non lo scorderò mai.
Ho scritto queste parole, non come una celebrazione di una impresa. Ma per condividere con chi ne ha bisogno che, sebbene a volte il cammino della vita sa essere un sentiero tortuoso, su ogni uomo e su ogni donna c’è una promessa di bene. La nostra vita è un mistero, e come tale, deve essere scoperta passo dopo passo, senza fretta e con la fiducia del pellegrino che persevera nel cammino consapevole della meta, che è Dio stesso.
Ognuno che si sente perso, abbia fiducia perché ha l’occasione di ritrovare il proprio cuore.
Buon cammino ragazzi.
Francesco
PS> Ho parlato ancora dell’esperienza sul Cammino di Santiago nell’ultimo episodio del podcast.
[^1] La prima volta che ho sperimentato questa forza è stato alla partenza per la Marcia Francescana del 2002, dove ho chiesto a Dio di risolvermi affettivamente. In quella occasione ho incontrato Ale, ho iniziato un cammino e la mia vita è cambiata per sempre. Leggi il post
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