Il telefono crea dipendenza? #89
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Fai fatica a staccarti dal telefono, rimanendo ore incollato allo schermo. Internet ha cambiato il mondo, ma a quale prezzo? Oggi rispondiamo ad una email per parlare di una delle sfide più grandi di oggi: riprendersi la libertà dal digitale.
Buona lettura!
Fra
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Senza di te non si può fare!
Il telefono crea dipendenza?
Ho 4 figli: Giacomo 17 anni, Marta 16, Luca 14 e Sonia 7. Mi sento molto in difficoltà con i primi due. Sono tutti molto dipendenti dal telefono. Ma voi come vi comportate in casa relativamente all’uso dei telefoni? Sono tentata di non pagare più i loro abbonamenti e di lasciarli senza internet perché i loro comportamenti sono troppo assurdi. Non stanno crescendo bene. Non rispettano né noi, né le regole che gli diamo.
La domanda è drammatica, delicata, di non semplice risposta, controcorrente.
La mia generazione ha visto nascere internet. Lo ha accolto, ne ha sfruttato le potenzialità, ma non ne ha visto i rischi. Padre Maurizio Botta mi ha fatto riflettere su una frase molto attuale della Scuola Filosofica di Francoforte: “Ogni progresso porta con sé un prezzo”. E quando siamo accecati dalla novità la abbracciamo senza pensarci troppo, abbandonando il vecchio, dimenticando ciò che si faceva prima, con il rischio di ritrovarsi dopo un breve tratto di strada con la grande incertezza del futuro davanti e i ponti tagliati dietro.
E se fino a poco tempo fa pensavo che questi discorsi fossero da vecchio (ormai i 50 bussano alla porta), l’incontro con i ragazzi di Fraternità mi ha fatto capire che queste domande e queste inquietudini vivono anche nel loro cuore. Siamo tutti umani, e per quanto abbiamo surrogato molte delle nostre attività dietro a uno schermo, il bisogno atavico di contatto, incontro ed esperienza è innato in noi. E così anche un ragazzo di 18 anni sente la necessità di lasciare il telefono per vivere esperienze reali e concrete.
È una generazione fragile, cresciuta con il confronto planetario, intimorita dal mettersi in gioco e con un futuro cupo di fronte a sé. Spesso si rimane dietro a un telefono perché è obiettivamente più facile e sicuro che avventurarsi nel mondo, per parlare con una ragazza o sperimentare una nuova strada. Ma il bisogno è lì.
Ogni generazione ha le sue sfide, questa è la loro.
Ed è nostra responsabilità fare tutto ciò che possiamo per dargli una mano.
Difendere ciò in cui crediamo
Come adulti cosa possiamo fare? Innanzitutto, difendere ciò in cui crediamo. Non si può dire a un ragazzo di non usare il telefono se noi stessi ne siamo dipendenti: usa una sveglia per alzarti la mattina, un orologio da polso (non smart!) per vedere l’orario, un mp3 player per ascoltare la musica, un kindle per leggere i documenti digitali, la TV per vedere un video, una macchina fotografica per le foto, e… assurdo degli assurdi… un telefono dumb (stupido, tipo un Nokia) per telefonate ed SMS. Infine, ma solo infine e se necessario, uno smartphone o piccolo tablet per le (ahimè) ormai irrinunciabili app di banca, mappe, chat (e - andasse in malora - il registro elettronico della scuola).
Si può fare.
E lo dico non perché “si può fare, basta diventare cintura nera di masochismo”. Dico si può fare, perché è bello. È bello non essere dipendenti da un oggetto come il telefono. È bello perché dona libertà, ed è bello perché suscita in te stesso e negli altri un desiderio di risveglio da quello che (effettivamente) è uno sfruttamento di massa silenzioso.
A casa nostra il Wi-Fi è stato eliminato. Per internet c’è un portatile attaccato a un cavo ethernet. Se hai bisogno della rete, devi andare lì. Ai miei figli non abbiamo mai permesso di avere un abbonamento internet sul telefono, mai: solo chiamate ed SMS. Che è quello di cui c’è bisogno.
“Ma così vivono fuori dal mondo!!”
Dici? A me sembra che i miei figli siano pienamente nel mondo. Con i piedi ben piantati per terra e la testa impegnata nelle domande che contano. Spesso tutto questo diventa motivo di dialogo con i coetanei, un’occasione per uscire dalle solite app per confrontarti con qualcosa di diverso e misterioso. Allo stesso tempo è anche motivo di solitudine. Ma non come pensi tu. La solitudine nasce dal far fatica a trovare coetanei che si facciano certe domande, che sappiano sostenere un dialogo, che siano capaci di un pensiero critico (ascolta generazioni a confronto). Girarsi intorno e constatare di essere circondati da automi con lo sguardo fisso su uno schermo fa molto 1984 di Orwell, molto più di quanto pensi.
È inquietante.
Non semplice - ma necessario
Ma che non passi il messaggio che tutto questo sia semplice. Io penso il bene dei miei figli. Ma difenderlo è spesso campo di battaglia tra genitori e figli! Lo è sempre stato del resto, e non dovrebbe spaventarci. Il ruolo di un genitore è educare, crescere e proteggere un figlio. Tutto questo in un dialogo di ascolto empatico.
Ma non vuol dire accontentare.
Internet e lo smartphone sono un reale pericolo per i giovani che non hanno avuto l’opportunità di crescere in un mondo analogico prima, per poi avvalersi dei (convenienti) strumenti digitali poi, come ha fatto la mia generazione. Questi strumenti creano dipendenza, favoriscono lo sviluppo di disturbi come l’ADHD e la depressione infantile, distruggono le abilità manuali e le capacità motorie, impoveriscono lo scambio sociale.
Questi sono fatti, li abbiamo davanti a noi, lo studiano gli scienziati, ne vediamo i frutti.
Prevenzione e inversione di rotta
Nel caso concreto di un genitore che deve prendere delle scelte per un figlio, la strada migliore e più diritta è quella della prevenzione: niente schermi touch fino almeno ai 10 anni (mai! neanche per vedere un video), piccoli tempi mirati di fronte alla TV, telefono Nokia non prima dei 13 anni, libri ovunque, mai internet fuori casa. Quando a 17 anni arriveranno allo smartphone, saranno talmente forti e consapevoli che non avranno neanche interesse a scrollare TikTok, gli sembrerà un comportamento tossico e alienante (perché lo è!).
Se invece è necessaria un’inversione di rotta perché queste cose non le avevi capite prima, la strada è più dura, ma è percorribile. E sarà tanto più fattibile quanto più tu stesso incarni ciò che predichi. Non il buon esempio, ma proprio chi tu sei. Il dialogo deve essere aperto, chiaro, deciso. Aperto all’ascolto ma con in testa chiari gli obiettivi. A mio avviso tutto questo però non si può fare senza un segno concreto di “basta”. Allora sì, io staccherei internet e lo restringerei a un uso non smart, oppure attraverso hotspot da un altro dispositivo a richiesta (richiesta che deve essere fatta ogni volta, non self-service). Concordare lo screen time è fondamentale perché dona una misura oggettiva dell’uso. Ma soprattutto aiutare i tuoi ragazzi a riprendersi quello spazio che è andato in fumo: le attività sociali, lo sport, i libri, la natura, un viaggio, un interesse. Sarà dura, perché gli occhi non sono abituati alla luce e preferiranno rimanere nella caverna.
L’unicità invece dell’omologazione
Il guaio vero è che ci preoccupiamo troppo spesso che i nostri ragazzi non debbano essere diversi dagli altri e troppo poco di dare spazio invece alla loro unicità. Quanta autostima abbiamo contribuito a dare per permettergli di far venire fuori chi sono veramente? Non bisogna omologare verso il basso, ma avere il coraggio di creare vero dialogo. Certo, per farlo, devi avere le idee chiare tu per primo. Devi avere un io forte tu per primo. Ecco, questa potrebbe essere la tua occasione per metterci mano.
Sarà necessario un processo graduale. Ma alla base deve rimanere che tu sei il genitore, tu ti prendi la responsabilità della loro vita e di conseguenza sarai tu a farti carico di alcune scelte per loro. Dovrai imparare ad argomentare le tue motivazioni, a limitare gli scatti di ira (non chiedermi perché lo so), a spiegare il perché. Un possibile punto di partenza è il documentario realizzato da Netflix dal titolo “The Social Dilemma”. Per i più grandi (e i genitori) potrebbe essere anche la lettura di un testo come “Minimalismo digitale” di Newport.
Insomma c’è un lavoro da fare, una montagna da scalare, un torrente in piena e furioso da guadare, ma si può fare… e io ti direi proprio… si DEVE fare. Perché è il nostro dovere - la nostra vocazione passa anche da qui.
Buon cammino.
Il rischio è che tu possa essere felice!
F
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